Molto spesso, persone che mi chiedono una consulenza hanno precedentemente avuto esperienze di psicoterapia. A scopo informativo e anamnestico chiedo che tipo di terapia abbiano fatto. Nella maggioranza dei casi le persone non sanno spiegarmi che indirizzo psicoterapeutico i loro terapeuti seguissero.
Credo che intraprendere una psicoterapia sia una decisione importante e. di conseguenza, è fondamentale comprendere a cosa si va incontro. Sicuramente molta di questa disinformazione è da attribuire al terapeuta che, probabilmente, non riesce a mettersi nei panni del paziente.
Essere ben informati aiuta a ponderare le decisioni e ad evitare delusioni.
I pazienti si avvicinino alla psicoterapia con delle aspettative e dei desideri. Non è raro sentire persone che sostengono che dopo un percorso terapeutico di un anno non hanno affrontato alcuni temi per loro fondamentali. È bene sapere che il concetto di tempo cambia tra i vari indirizzi: un anno di terapia per un percorso cognitivo-comportamentale è molto diverso da uno per un approccio psicanalitico.
Voglio sorvolare sullo smarrimento che i pazienti vivono quando il terapeuta assegna loro “compiti” per casa; gli “homeworks” sono una prassi abbastanza classica per l’approccio cognitivo-comportamentale. Se tale abitudine non è esplicitata precedentemente può creare disagio.
Al fine di aiutare i pazienti a prendere consapevolmente la loro scelta, voglio presentare le 5 domande fondamentali che, a mio parere, un paziente deve porre al terapeuta. Alcuni potrebbero storcere il naso nel sentire che sia il paziente a dover chiedere informazioni al terapeuta. Molti credono che dovrebbe essere il terapeuta a spiegare e ad illustrare cosa sia una psicoterapia e in cosa consiste. Io credo che non ci sia nulla di male nel fare le domande.
Il paziente ha il DIRITTO di chiedere informazioni e di ottenere delle risposte
Se il terapeuta tergiversa sulle risposte, potrebbe essere un primo indizio di come egli lavora.
Ma veniamo alle domande:
Quale indirizzo terapeutico si seguirà?
È una domanda fondamentale perché da molte indicazioni sul percorso terapeutico. Gli indirizzi terapeutici sono diversi, ognuno con delle proprie peculiarità, dei propri modi di agire e valutare le situazioni. Anche la tempistica può variare da un indirizzo all’altro. La maggior parte degli approcci terapeutici può essere raggruppata in alcuni grandi insiemi: approcci psicodinamici, approcci cognitivo-comportamentali, approcci sistemici-relazionali, approcci umanistici.
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Qual è la teoria di base dell’approccio?
Anche se si ha paura che questa domanda sia troppo tecnica-teorica, è bene farla per capire un po’ il modello teorico e come quest’ultimo spiega il disagio psicologico. Chiedere queste informazioni aiuta anche a creare un linguaggio comune tra terapeuta e paziente.
Come si svolgeranno le sedute?
Non è raro che i pazienti si trovino in difficoltà quando si trovano a dover parlare liberamente per un’ora (cosa che può accadere negli approcci psicodinamici). Dall’altro verso, lo stesso può accadere quando il terapeuta è maggiormente attivo e direttivo (classico atteggiamento dei terapeuti ad indirizzo cognitivo-comportamentale). Chiedere come si svolgeranno le sedute, se ci sarà un ordine del giorno degli argomenti e chi deciderà quest’ordine permette ai pazienti di avere le idee chiare su cosa accadrà in terapia. Essere consapevoli della struttura delle sedute aiuta anche a diminuire le eventuali ansie da prestazione.
Quanto durerà?
Partiamo da un concetto fondamentale: non è possibile definire a priori la durata precisa del percorso. Anche accettando questa idea, il terapeuta saprà dire, orientativamente, se ci vorranno 6 mesi, 3 anni o 10 anni. Se l’approccio di riferimento è un indirizzo a breve termine, non si parlerà di vari anni, ma di alcuni mesi. Il terapeuta non ha il dono di prevedere il futuro e di dire con certezza il numero delle sedute. Solitamente, in base alla propria esperienza e al modello di riferimento che segue, saprà dare delle indicazioni generali. Per esempio, nell’ambito cognitivo-comportamentale un disturbo d’ansia può essere trattato in pochi mesi. Conoscere la durata orientativa della terapia aiuta anche il paziente a prendere consapevolmente la decisione di proseguire o interrompere gli incontri.
Ci sono prove d’efficacia della terapia?
Oggigiorno, la ricerca scientifica ha iniziato ad indagare in maniera oggettiva l’efficacia della psicoterapia. Negli ultimi anni si è raggiunta una maggiore conoscenza di quali indirizzi hanno ottenuto un riscontro scientifico. Molte psicoterapie sono state indagate con metodi scientifici e statistici e ne sono derivate indicazioni di efficacia. Gli approcci detti evidence-based sono quelli che hanno mostrato una percentuale di efficacia superiore all’effetto placebo e alla remissione spontanea del disturbo.
Non vergognarti nel porre queste domande ad uno psicoterapeuta, è un tuo diritto. Fare queste domande ti aiuterà a prendere le tue decisioni con più consapevolezza e determinazione.