In questo breve articolo vorrei affrontare un tema molto scabroso e, a volte, anche scomodo: il vantaggio secondario.
Sono sicuro che leggendo questo scritto molti lettori storceranno il naso e penseranno che io stia scrivendo tantissime stupidaggini e non comprendo la sofferenza altri, che sono superficiale. Molto spesso mi capita di dover affrontare questo tema anche nelle sedute terapeutiche in studio e, di conseguenza, conosco benissimo le possibili reazioni che le persone possono avere leggendo questo articolo.
Frequentemente il disagio psicologico è visto come un disturbo che influenza la singola persona e ha, come conseguenza, la semplice sofferenza. Se si prova ad osservare con maggiore attenzione ciò che avviene quando una persona sta male e soffre di un disagio psicologico notiamo che quest’ultimo può avere una ulteriore conseguenza: il vantaggio secondario.
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Che cosa si intende per vantaggio secondario?
Stefania è una ragazza di circa 25 anni che da alcuni mesi soffre di agorafobia e, a causa di questo disturbo, ha notevoli difficoltà ad uscire di casa; riesce a uscire solo se accompagnata dalla madre o da un familiare.
Dopo alcune sedute terapeutiche cominciamo ad affrontare i timori che le impediscono di uscire e proviamo a valutare la possibilità di fare qualche esercizio. Durante una seduta decidiamo che l’esercizio per la settimana successiva sarebbe stato quello di fare una passeggiata intorno casa, allo scopo di valutare il suo livello di ansia e per verificare i pensieri catastrofici che tende a immaginare. All’incontro della settimana successiva, la ragazza sostiene di non essere riuscita a fare la passeggiata e di aver ancora bisogno della madre per uscire e fare le minime commissioni.
Nell’analizzare la situazione familiare e amicale, si nota che Stefania ottiene dal suo disturbo alcuni benefici. In passato infatti, la madre spesso non la considerava e non si interessava alle sue attività.
Oggi Stefania ha scoperto che grazie (purtroppo) al suo problema può attirare l’attenzione materna.
Non è raro che, involontariamente, le persone utilizzino, inconsapevolmente, la loro sofferenza allo scopo di tenere vicino a sè le persone care, per sentirsi amate e aiutate. Questo meccanismo inconsapevole, ha come conseguenza la cronicizzazione del disturbo stesso e il rinforzo dei pensieri catastrofici.
Nel momento in cui Stefania crede di non riuscire a fare una passeggiata e i familiari sono accondiscendenti nei confronti delle sue richieste, il problema tende a cronicizzarsi. Stefania riesce, con questa strategia, a raggiungere un equilibrio tra il bisogno di attenzione e il timore di fallire se dovesse prendere qualche iniziativa.
Il vantaggio secondario: il lato piacevole della sofferenza
Il meccanismo descritto può sembrare semplicistico e svalutante nei confronti della sofferenza. In verità, il vantaggio secondario nasconde automatismi molto complessi e atti a cronicizzare la sofferenza. Non è raro che i vantaggi secondari siano così potenti da impedire o rallentare un percorso terapeutico.
Avere dei familiari accondiscendenti e degli amici che soddisfano le esigenze dell’individuo, possono portare la persona sofferente a non impegnarsi e a non assumersi la responsabilità del cambiamento. Avere sempre una compagnia vicino e sentirsi “giustificati” dei propri comportamenti in quanto malati porta l’individuo a perpetuare le strategie disfunzionali. Nessuno nega il disagio e la sofferenza vissuti dalla persona che soffre, ma se noi osserviamo con attenzione le strategie compensative scopriamo che il disagio ha anche dei “benefici”.
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Il vantaggio secondario: diverse vie un’unica sofferenza
I vantaggi secondari possono manifestarsi in molti modi: persone che non escono se non accompagnati, richieste continue di rassicurazioni, la pretesa di essere trattate in maniera speciale in quanto sofferenti, essere “giustificati” se si sbaglia o non si raggiunge un obiettivo, procrastinare una decisione importane.
Come il vantaggio secondario influenza le relazioni
In alcune situazioni si arriva a sfruttare la patologia per avere un particolare ascendente sull’altra persona. Non è raro che in una coppia, un partner possa mantenere, inconsapevolmente, un disagio psicologico allo scopo di manipolare l’altra persona e di asservirla ai propri bisogni.
Nonostante il tema sia così scabroso, è importante osservarlo con oggettività e notare come esso si presenti con una certa frequenza. Il tema dei vantaggi secondari è molto complesso e può arrivare ad influenzare grandi aspetti della vita. Le persone che soffrono non sono, spesso, consapevoli dei loro meccanismi ma il rinforzo avviene in maniera automatica.
Marco è un ragazzo di 26 anni. In prossimità della Laurea sviluppa un Disturbo da Panico. Il disturbo gli impedisce di preparare la tesi e concludere il suo percorso di studi.
Durante un colloquio:
Terapeuta: Come è andata la settimana? Provato a scrivere un paragrafo della tesi?
Marco: No, non ci sono riuscito. Mi sono reso conto che non posso andare avanti.
Terapeuta: Cosa intende?
Marco: Il mio disturbo non mi permette di studiare. Sto valutando seriamente di rimandare la sessione di discussione.
Terapeuta: E’ una decisione importante. Cosa la spinge a fare ciò?
Marco: Che non riesco a studiare? Poi con il mio problema non riuscirei ad andare avanti, oltre la laurea.
Terapeuta: Cosa accadrebbe se, per magia, il disturbo scomparisse?
Marco: Mi dovrei laureare e iniziare a trovare un lavoro. Questo mi fa paura!
Molto spesso il vantaggio secondario non è facilmente individuabile in quanto molto subdolo.
Nel caso di Marco, il disturbo da panico era “utile” per evitare di dover affrontare delle decisioni importanti e mettersi in gioco. Dopo aver analizzato questo aspetto, Marco si è reso conto di quello che stava succedendo e ha deciso di impegnarsi lavorando anche sul “vantaggio secondario”.
Come riconoscere e spezzare il circolo vizioso del vantaggio secondario?
Io mi sento in una situazione simile a quella di Marco per quanto riguarda il cambio di lavoro e affrontare nuove sfide in questo ambito.
grazie
Sicuramente non è possibile dare una risposta personalizzata. Per prendere consapevolezza del vantaggio secondario si potrebbe cominciare con il chiedersi: quali “aspetti positivi” ha il disturbo? Sta aiutando ad evitare paure?
Questo può essere un primo modo per riconoscere l’eventuale vantaggio secondario per disturbo.
Dopo aver individuato il “vantaggio”, bisogna cercare di affrontare le paure che esso ci aiuta ad evitare.